Troppo spesso si è guardato esclusivamente all'opera e alla vicenda umana di Beethoven come l'espressione di una volontà titanica di affermazione di sé, di una fiducia nel progresso dell'umanità, di una felicità costruita con le proprie mani e fondata sul rigore e la coerenza morale. (...)
Sempre di più nella musica e nei suoi scritti emerge un grido: O mio Dio, mia difesa, mio presidio, mio solo rifugio... Ascoltami, essere che non so in qual maniera chiamare, esaudisci la preghiera della più infelice delle creature. O Dio mio, soccorrimi! Dimenticando questo grido, anche solo come sorgente sotterranea, non si possono capire tutte le espressioni, musicali e non, di reale, appassionata invocazione di quest'uomo cosciente della propria fragilità: quello di Beethoven è il grido di un'anima che riconosce di dipendere da un Dio potente, ma ancora sconosciuto, o meglio, non ancora riconosciuto.

(da L'esistenza come tensione all'infinito di Vera Drufuca - estratto dal libretto incluso nel CD)


Siamo aiutati, nel nostro cammino di comprensione di questa opera straordinaria, dai suggerimenti fantasiosamente esuberanti di un grande compositore del passato, Robert Schumann: Sono le nozze più allegre che si possano immaginare, ma la sposa è una creatura celeste con una rosa nei capelli. Dovrei ingannarmi se nell'introduzione non si dessero convegno gli ospiti, non si salutassero cordialmente, se allegri flauti non rammentassero che tutto il villaggio ornato di verdi fronde e di nastri colorati è in festa per la giovane Rosa... Ma l'immagine più bella è quella che Schumann crea per spiegare l'arrivo inatteso del secondo inquietante movimento: Dovrei ingannarmi molto se la madre pallida e tremante non le domandasse: – Lo sai che ci dobbiamo separare? – . Questo distacco è la condizione drammatica di ogni vera gioia.

(da Le radici della gioia di Enrico Parola e Pier Paolo Bellini - estratto dal libretto incluso nel CD)